Descrivimi la bottega dove hai iniziato a far l’alabastraio.
Quasi tutte le botteghe erano scantinati, c’era un banco di legno o un tavolino, alcune sedie vecchie, che si reggevano proprio… coi piedi. Insomma, veniva utilizzato tutto ciò che era vecchio o rotto. Alle sedie, se aumentava la polvere d’alabastro accumulata per terra, venivano tagliate le gambe per arrivare all’altezza del banco: portare via gli scarti costava.
In bottega c’era anche lo spalmacetatoio: era una specie di cassapanca con una rete e il fuoco sotto; sopra veniva messo il lavoro a scaldare, perché prendesse meglio d’olio o il colore biondo, se veniva colorato.
Poi ci stavano gli arnesi; triangoli, raspe, seghe, scuffine, mazzuoli. Per chi lavorava a mano la bottega era così semplice.
Com’era l’apprendistato quando sei andato a fare il garzone di bottega?
Ti prendevano, stabilivano una cifra al mese tanto per modo di dire e ti commissionavano un compito che dovevi portare a termine. Essere ragazzo di bottega spesso voleva dire subire le angherie degli altri. A volte il principale se la rifaceva sul garzone per scaricare i problemi che aveva e approfittava della sua ignoranza.
Spesso l’alabastraio chiedeva all’apprendista di andare a prendere la “pietra speciale” usata per affilare i triangoli, un inganno perché tale pietra non esiste. Il garzone veniva mandato in una bottega, chiaramente dall’altra parte della città e, naturalmente, l’alabastraio che lo aspettava sapeva della prova e proseguiva col gioco. Dava all’apprendista una grossa e pesante pietra da trasportare a spalla o peggio ancora lo mandava in una missione impossibile con la pietra da quello che gliela aveva prestata, che, a sua volta, avrebbe detto che non era sua ma apparteneva a quello o a quell’altro, così il povero apprendista era costretto a girovagare per tutta la città. Se, dopo tutto questo, tornava e non si era ancora accorto dello scherzo, gli veniva ordinato di riportare la pietra al legittimo proprietario.
Erano cose così, senza senso, come lo scherzo del giornale: l’omo di bottega veniva bendato e gli si diceva: “te devi imparà a prendere la direzione. Se vai dritto con il dito e sfondi il giornale hai fatto bene.” Ma invece del giornale trovava la bocca di un alabastraio che gli mordeva il dito. Immagina te, bendato, l’impressione che faceva.
A me non è mai successo; stavo con un tipo troppo serio.
Oltre al mestiere che s’imparava a bottega?
La bottega era anche una scuola di vita perché, normalmente, il principale ti diceva come ti dovevi comportare, faceva un po’ anche da padre. Se c’avevi confidenza e se avevi un problema gli chiedevi un parere che poi alle volte ti rivelavano cose assurde. A me, per esempio, sui rapporti con le bimbe il Mezzetti mi ha consigliato sempre nella maniera sbagliata. Si, perché secondo lui il metodo era: “bisogna partire decisi, dare la fogata e se ci stà ci stà, e se non ci sta, pazienza.” Questo mi è rimasto impresso anche perché con qualcuna ho perso persino l’amicizia.
Da qualche parte ho letto che “nel microcosmo della bottega l’apprendista imparava ad amare la lirica e la politica”.
La lirica senz’altro, non c’era alabastraio che non conoscesse le arie più importanti di sette, otto, dieci opere liriche: la Tosca, il Rigoletto, l’Aida, Madama Butterfly, il Barbiere di Siviglia e via discorrendo. Il Mezzetti non era proprio un passionista, ma si cantava anche nella sua bottega. E mi ricordo che quando, a Volterra, arrivò la Tosca noi ragazzi di bottega si doveva andare a fa la coda al botteghino del Teatro Persio Flacco per comprare i biglietti.
La politica la potevi apprendere anche di fuori, ma nelle botteghe c’era il tempo per discutere. La mattina un’ora di colazione era quasi obbligatoria. Ci si ritrovava tutti insieme dalle 9 alle 10. Ogni gruppo di alabastrai aveva un punto di riferimento a seconda fosse primavera o estate: per noi, nei Borghi, era Lo Sgherro o le Balze nel periodo estivo. E si discuteva di tutto: di musica, di politica, di sport. In bottega si lavorava in tre o quattro insieme, e al banco c’era sempre la possibilità di parlare l’uno con l’altro.
E cosa succedeva?
C’era quello più aggiornato, quello più preparato che reggeva un po’ la situazione e quell’altri lo seguivano. Così se quelli più preparati appoggiavano l’anarchia o il partito comunista allora anche
gli altri gli andavano dietro.
Anarchici, comunisti, socialisti, antifascisti, anticlericali, liberi pensatori, come mai erano così politicizzati e sovversivi gli alabastrai?
Forse è dipeso dal mestiere stesso, anche per gli scultori del marmo di Carrara è stato uguale: la maggior parte erano anarchici. Forse è dovuto al fatto che non dipendevi da nessuno anche se poi, chiaro, dipendevi dai due o tre che ritiravano tutti i pezzi e li vendevano. Forse l’apertura di questo mondo dipende anche dai primi viaggiatori dell’alabastro che fecero le Americhe e le Indie e portarono idee e cose nuove. E poi eri così per reazione, perché eri sempre contro i ricchi, contro i padroni, contro la chiesa. Erano loro che dominavano.