Quale ricetta per mantenere in vita e buona salute un’attività di artigianato nel corso del tempo?
Sono passati cento anni da quando mio nonno Emilio forte di un’innata passione per la lavorazione dell’alabastro, dava vita alla sua bottega artigiana nei Borghi. Presto si impose con il suo prodotto di altissima qualità sul mercato nazionale ed estero. Era tornitore, una professione molto ricercata nel campo alabastrino. Da lui il sapere è passato ai suoi figli, tra cui mio babbo Velio. Velio oltre ad essere professionalmente un artigiano divenne professore dell’Istituto Statale d’Arte; inevitabile che mi insegnasse. La passione è di casa, produzioni raffinate e disegni esclusivi. È l’innovazione e la capacità di sperimentare la buona pratica che la nostra famiglia ha custodito gelosamente negli anni, arrivando fino ai giorni nostri.
L’artigianato artistico e quello tradizionale è un mondo assai variegato. Ci sono centinaia di aziende con caratteristiche diverse: per dimensione e organizzazione produttiva, per tipologia e qualità di prodotto, per propensione rispetto al mercato. Riconoscere queste peculiarità equivale a capire che, nel campo della promozione dell’artigianato, non esiste un modello “vincente” unico, ma tante possibili “buone pratiche”, calibrate sulle reali esigenze dei clienti.
Con cento anni alle spalle abbiamo sondato diverse tecniche. Nonno Emilio era tornitore e propendeva per la tecnica dello scorollamento, la precisione era tutto. Mio zio Valdo era forte per scatole e colonnine, per oggetti geometrici predefiniti, più al servizio della funzionalità che all’arte. Mio babbo Velio invece aveva uno spirito più creativo ed era opposto a Valdo. L’altro mio zio Aulo infine si era appassionato alla raffigurazione artistica degli animali. Ad ognuno il suo stile, ma il fatto di averli maturati nella solita famiglia ci ha dato un vantaggio nella visione del mercato.
Sin da piccola i suoni degli attrezzi di bottega sono state le mie ninnenanne e i pezzetti di pietra i mattoncini delle mie costruzioni, un affaire quotidiano molto ripetitivo tanto che mi ero convinta di poter intraprendere un’altra strada, lontana dalla mia normale comfort zone.
Il destino, però, se riguarda una passione viscerale e travolgente, è inevitabile. Con l’avanzare dell’età le mie mani non sono mai riuscite a stare ferme, erano sempre mosse dai fili invisibili della creatività cresciuta con me in quell’ambiente unico; allorchè tutto il mio bisogno di concretizzare idee artistiche l’ho riversato sull’alabastro, questa pietra che era stata sempre intorno a me, ma forse troppo vicina per vederla chiaramente.
Fai laboratori o percorsi esperenziali?
Nel nostro piccolo abbiamo fatto la storia di Volterra, il magazzino di Velio dispone e conserva antichi strumenti e macchinari molto curiosi. L’ambiente è caratteristico e la visita da parte di turisti è piacevolmente accolta. Fin tanto che ci vengono a trovare risulta naturale far vedere loro i processi della lavorazione e far toccare con mano l’alabastro e la sua storia.
Io dispongo di una piccola bottega in centro, e qui non ho spazio sufficiente per fare istruzione o laboratorio. I turisti di passaggio in Via di Sotto però si soffermano uguale, osservandomi dalla finestra o entrando per farmi fotografie mentre lavoro. Farmi vedere mentre lavoro aiuta a dare un’anima agli oggetti che espongo; solo così si comprende la qualità di un oggetto, prodotto di fatiche e scommesse e non risultato di una serialità industriale. La bottega è molto stretta, cinque persone al suo interno bastano per affollarla; una volta era di mio zio Aulo e, prima di decidere di lavorare direttamente da casa, era qui che teneva la sua attività.
Alla domanda, quindi rispondo si e no. Non facciamo laboratori, niente di costruito, ma se ce ne è l’occasione, cerchiamo di soddisfare le richieste. D’altronde basta anche porsi in vetrina per rendere esperenziale un’attività.